UNA VITA PER LA PALESTINA
Le icastiche parole entrate nella letteratura italiana con le quali Gadda ripose il mancato trionfo di Mussolini nel 1942 ad Alessandria d’Egitto: « Voleva entrarci col cocchio, c’entrò col cacchio» , hanno giustamente oscurato il particolare, tanto sbandierato, della «spada dell’Islâm» impugnata dal Duce mentre si preparava a quella apoteosi. Vi sono almeno due osservazioni su questo particolare che non mi risulta abbia detto alcun autore.
La prima è che la «spada dell’Islâm» prima di ciò non è mai esistita fisicamente quale arma. L’idea fu probabilmente ventilata o suggerita al Duce del Fascismo da qualche cortigiano orientalista (non dimentichiamo che il regime costruì allora e finanziò l’Istituto per l’Oriente, e altri centri simili) il quale fondò il suo consiglio su un madornale errore. «Spada dell’Islâm» in quel mondo è un titolo – lo si trova abbastanza regolarmente scritto affianco al ritratto di ‘Âlî, il quarto califfo – come da noi «Difensore della fede» e tale è rimasto nel millennio e mezzo di storia dell’Islâm. L’unica spada, forse realizzata fisicamente, che ha sempre riempito l’iconografia dei musulmani, soprattutto dei turchi ottomani, fu la spada biforcata attribuita a Maometto.
La seconda è che storicamente parlando, titolo o arma che sia, mi pare abbia sempre portato male. Certo non portò bene a Mussolini che volle essere immortalato nell’atto di impugnarla, come mostra la copertina de Il fascio, la svastica e la mezzaluna , il precedente libro di Fabei che adesso ripercorre con molta benevolenza le avventure di una figura emblematica e fallimentare del mondo arabo tra le due guerre mondiali: Husaynî, noto come il Mufti di Gerusalemme.
Aiutato sempre e in tutto dalla potente famiglia, ben imparentata nel Paese, arrivò ad essere il presidente del Supremo Consiglio Musulmano della Palestina – un organo istituito dagli inglesi per ordinare gli affari islamici della Terra Santa – anche se non votato, né apprezzato dall’unanimità dei suoi concittadini. Dalla presidenza del supremo Council , Husaynî incitò la popolazione araba e musulmana alla rivolta contro gli inglesi, ma il suo appello non trovò uniti nemmeno gli arabi nati in Palestina. Molte famiglie di antica residenza gli furono contrarie e, pur condividendone le idee, non lo riconobbero all’altezza del ruolo di «guida suprema».
Fu così che alla ricerca di ogni possibilità di prevalere, convinto di agire per il bene della sua gente, il Mufti di Gerusalemme fece una scelta e, secondo la regola «i tuoi nemici sono i miei nemici», tese entrambe le mani all’Italia di Mussolini ma con incredibile regolarità, come in ogni sua scelta, scelse l’uomo sbagliato. Egli ebbe la sensazione dell’esistenza di qualcosa che ben descrive De Felice quando afferma che è sempre esistita una tradizione culturale, soprattutto cattolica (anche se recepita successivamente in termini laici da vasti settori culturali, economici, politici e anche diplomatici), precedente al Fascismo che guardava all’Italia come a un ponte sul Mediterraneo tra l’Occidente e l’Oriente e che concepiva in questa prospettiva un rapporto privilegiato con gli arabi. Va detto che il peso di questa tradizione contribuì notevolmente alla cosiddetta politica araba di Mussolini.
Il libro già dalle prime pagine porta alla lode. È interessantissimo e fors’anco originale. Dico così perché ignoro se ve ne sia un altro, in un’altra lingua, così esaustivo sull’argomento.
Questo volume è veramente un gran bel – l’aggettivo si riferisce al libro e non alla persona della quale descrive la vita e le opere – mattone nella costruzione storica a contraris della realizzazione dell’ideale sionista.
Fatte le più sincere lodi al testo e al suo autore è bene che dica perché il mio giudizio sia così negativo sull’uomo. Non solo non ha portato alcun vantaggio al suo popolo ma lo anche fatto arretrare spianando la strada al suo grande avversario: l’insediamento ebraico in Palestina e la realizzazione dello Stato d’Israele.
Una «valanga suicida» si può ben definire la storia dei Palestinesi nel XX secolo, una popolazione che non fu mai guidata da un capo che si preoccupasse, con un minimo di realismo, del loro futuro se non tra i fumi di un sogno.
Un sospetto molto grave, che va ben al di là della sua sconfitta storica, è che l’uomo, sebbene convinto di pensare al suo popolo, in realtà, anche se solo nell’inconscio, si interessasse solo di se stesso: di «essere un grande», di «passare alla storia». È questo un sospetto che è affiorato qua e là mentre leggevo questo bellissimo libro, riflettendo sul suo pubblicare continuamente manifesti e comunicati, sul suo incessante scrivere lettere a tutti, sul suo spedire telegrammi ai potenti senza un attimo di sosta. Non mi sento per ora di trasformare questo sospetto in un giudizio. Del resto proprio gli Arabi dicono Allah ‘alam ovvero «solo Iddio sa come sono andate veramente le cose».
E per i Palestinesi sembra di vedere la storia ripetersi inesorabilmente nella stessa direzione: ancora una volta oggi, come ai tempi del Mufti, essi dimostrano di non saper perdere. Sempre a partire dalla rivolta del ‘36-39 di fronte alla sconfitta si presentano al tavolo delle trattative con pretese di vincitori.
Se non la storia a parlar chiaro è la geografia: a partire dal primo progetto di spartizione, nei successivi decenni, invece di rinunciare a 30 per cento e poi a metà della Palestina, con la stessa tenace regolarità con la quale il Mufti si legò ai perdenti, i Palestinesi ne persero tre quarti. Il Mufti è morto nel 1974. La storia da quel lato prosegue, lui morto, con lo stesso stile sotto la guida di ‘Arafât . Oggi la percentuale offerta loro dallo Stato d’Israele si aggira sul 20 per cento. Sembra incredibile ma è così.
SERGIO NOJA NOSEDA
PREFAZIONE
Il 4 luglio 1974 con la morte a Beirut di Muhammad Amîn ‘Âlî al-Husaynî, Gran Mufti di Gerusalemme, finiva un lungo capitolo nella storia della Palestina contemporanea.
Esponente di primo piano del mondo arabo e di quello islamico, fondatore del movimento nazionale palestinese, la sua storia s’identificò, in gran parte, con quella della sua patria e del suo popolo, di cui fu il leader incontrastato, seppur discusso, per più di trent’anni. Unità e indipendenza del mondo arabo, solidarietà islamica e lotta di liberazione palestinese furono gli obiettivi per cui lottò fino agli anni Cinquanta e anche dopo. Non c’è quasi nulla nella dottrina dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e nella carta del Consiglio Nazionale Palestinese che non sia stato già concepito da lui o da lui, indirettamente, ispirato. La sua vita, più di quella di qualsiasi altro leader palestinese, ‘Arafât a parte, incarnò l’essenza originaria del movimento nazionale palestinese e della sua lunga lotta per l’indipendenza.
STEFANO FABEI
INDICE
Prefazione
Presentazione
Parte Prima: Gli anni della lotta in patria
Capitolo Primo
L’infanzia e l’educazione di Muhammad Amîn
Capitolo Secondo
La Prima guerra mondiale: da ufficiale ottomano a sostenitore di Faysal
Capitolo Terzo
1919-1920: il biennio del disinganno e della catastrofe
Capitolo Quarto
Pasqua di sangue a Gerusalemme
Capitolo Quinto
Gran Mufti e presidente del Supremo Consiglio Musulmano
Capitolo Sesto
Hâjj Amîn custode e difensore dei Luoghi Santi
Capitolo Settimo
La disputa con gli ebrei sul Muro del Pianto e gli incidenti del 1929
Capitolo Ottavo
La Commissione Shaw e la Commissione internazionale sul Muro del Pianto
Capitolo Nono
La lotta per l’unità del mondo musulmano e il Congresso Islamico Mondiale
Capitolo Decimo
I congressi degli ‘ulamâ’ della Palestina
Capitolo Undicesimo
Il Supremo Comitato Arabo e lo sciopero nazionale palestinese
Capitolo Dodicesimo
La Commissione Peel e il piano di partizione
Parte Seconda: Gli anni della collaborazione con l’Asse e dell’esilio
Capitolo Tredicesimo
I primi contatti con l’Italia e la Germania
Capitolo Quattordicesimo
Sulla via dell’esilio: dal Libano all’Iraq
Capitolo Quindicesimo
Alla ricerca dell’alleanza con l’Asse: dalla guerra in Iraq all’arrivo in Europa
Capitolo Sedicesimo
Gli incontri col Duce e col Führer e il riconoscimento a guida del mondo arabo
Capitolo Diciassettesimo
L’Asse assicura al Mufti la libertà e l’indipendenza dei Paesi arabi
Capitolo Diciottesimo
Attività a favore dell’Asse e opposizione all’immigrazione ebraica in Palestina
Capitolo Diciannovesimo
Ritorno in Medio Oriente e riassunzione della leadership in patria
Capitolo Ventesimo
Le lotte contro lo Stato ebraico e a favore dell’Islâm
Capitolo Ventunesimo
I difficili rapporti con gli Stati arabi e con l’OLP
Note
Glossario
Ringraziamenti
Bibliografia