CARMELO BORG PISANI


PRESENTAZIONE

Giudicare Carmelo Borg Pisani, anche dopo più di sessant’anni dalla sua tragedia, crea qualche difficoltà. Per chi nel passato sognò una Malta irredenta e vide nella sua unione all’Italia il compimento storico del Risorgimento, egli sta nella stessa categoria di Cesare Battisti e di altri eroi, che in terre irredente vissero il sogno di un ritorno alla madrepatria.Da chi negli anni Quaranta e durante la Seconda guerra mondiale visse la situazione politica maltese, Borg Pisani è considerato un traditore che durante il bombardamento indiscriminato dell’arcipelago da parte delle forze aeree italo-tedesche stava dalla parte di chi lo riduceva in rovine. Questo rimane per molti l’enigma dell’uomo. In verità qui sta il semplicismo di chi vuol ridurre la tragedia di un giovane, serio e idealista, in un’apoteosi non del tutto meritata, o in un disprezzo non del tutto dovuto. A partire dal 1530, a Malta, pur geograficamente e, grazie all’Ordine dei Cavalieri, culturalmente vicina all’Italia, si sviluppò un’identità particolare che, in seguito alla presenza francese contro la quale i maltesi insorsero riscattando con il sangue la propria indipendenza, rafforzò le posizioni dell’Inghilterra cui era legata l’economia dell’isola ed estese l’influenza della cultura anglosassone. Il Risorgimento italiano, tramite le sue figure storiche, alcune delle quali presenti nell’isola come esuli, diede l’impulso necessario al nazionalismo maltese. Questo, pur essendo culturalmente difensore dell’idioma italiano a Malta, una presenza linguistica che durava da più di sette secoli, si ispirava anche a principi di democrazia e del governo rappresentativo sul modello di Westminster.Tutto ciò, unitamente al ruolo giocato sul piano economico, fece talvolta apparire la presenza inglese a Malta come quella di uno Stato coloniale e imperialista. È importante notare che il nazionalismo maltese non era irredentista, non considerava come suo vitale obiettivo l’unione di Malta all’Italia. Quello su cui insisteva il nazionalismo maltese era che pari passu all’avanzamento della lingua inglese, quella italiana continuasse ad essere parte della cultura dell’isola, come lo era stata nei secoli precedenti. In sintesi, il nazionalismo maltese difendeva la civiltà latina di Malta come elemento fondamentale per il diritto all’autogoverno del popolo maltese.Gli anni Trenta del XX secolo erano anni difficili. Difficili perché la politica coloniale inglese a Malta si manifestò in tutta la sua durezza. Il sistema di «self government», che dopo una lunga lotta politica il popolo maltese aveva ottenuto dal 1921 in avanti, venne prima sospeso e poi tolto. Il governatore inglese decise provvedimenti contro la lingua italiana. Carmelo Borg Pisani fu preso in questo vortice: da una parte una dipendenza economica dall’Inghilterra che restringeva l’azione politica per l’autonomia reclamata dai politici nazionalisti, e dall’altro lato la sfida del governo britannico che volle ad ogni costo cancellare dall’isola la forte presenza della cultura latina.La decisione dell’Italia di concludere il Patto d’Acciaio con la Germania creò una situazione ancora più difficile per tanti maltesi. Una cosa era lottare per la civiltà latina di Malta, e un’altra cosa era far parte di un grande disegno nazifascista. Mentre Mussolini godeva di una certa simpatia nella politica internazionale, l’affiancamento a Hitler rafforzò in molti la volontà di lottare contro le dittature. E qui stava l’ironia del popolo maltese. Questo subiva la dittatura britannica, ma almeno l’Inghilterra credeva nei princìpi della democrazia, mentre l’asse Roma-Berlino si fondava sulla dittatura.Questo era anche il calvario del nazionalismo maltese che andava cercando le vie della soluzione per un popolo che voleva salvaguardare la sua storia, la sua dignità, ma tutto questo nel rispetto della democrazia nella quale credeva. È da qui che inizia la divergenza con Borg Pisani il cui nazionalismo non si sviluppa nel contesto di una Malta che deve autogovernarsi, ma di una Malta irredenta.Per i nazionalisti maltesi, il sogno del nazionalismo si concretizzerà il 21 settembre 1964, con l’indipendenza dell’arcipelago. Da coloro che guardavano all’Inghilterra come nazione protettrice e sostenitrice dell’economia, Borg Pisani viene considerato come uno che aiutava il nemico. Ma sarebbe uno sbaglio non accreditargli un idealismo puro e travolgente, perché veramente credette nella causa di Malta irredenta. Per lui la soluzione maltese stava non nell’indipendenza di Malta, e neppure nell’assorbimento di Malta nell’impero inglese, ma nel suo ritorno a quella che considerava la madrepatria, l’Italia. Questo lo fece con un convincimento chiaro e deciso.Carmelo Borg Pisani visse una vita ordinaria che le circostanze della storia fecero cambiare in modo straordinario. Egli non rappresenta un enigma, era soltanto un giovane dalle idee semplici, di principi risoluti, che merita il rispetto di chi s’immola per i propri sogni.

Professor Guido de Marco
Presidente Emerito di Malta

INTRODUZIONE

Eroe o traditore? Il sottotitolo di questo libro esplicita quel che, nel linguaggio degli speaker televisivi, si definirebbe appunto «una bella domanda». E una domanda molto difficile: quasi disperante, in questi tempi di polemiche aspre e talvolta demenziali sul cosiddetto relativismo.
È stato fra gli altri Carl Schmitt a impostare da par suo il paradigma del traditore. Una dimensione complessa dell’essere e dello scegliere: la spia, il doppiogiochista, il collaborazionista, il traditore vero e proprio sono ritagliati nella stessa stoffa del traduttore o di quello che nell’epica bizantina sarebbe il Dighènis Akrites1e in tanti momenti della storia sono stati il clandestino-brigante e il borderfighter. In un suo saggio, Carlo Ginzburg ha confessato (ne riassumo il pensiero, ma non ricordo le parole esatte) che, quando riceve critiche anche aspre a una sua tesi, non sa resistere dall’immedesimarsi nelle ragioni del critico e quasi dal «tifare» per lui contro se stesso. Caso tipico da lettino dello psicanalista o caso estremo di onestà intellettuale? Comunque siamo almeno in due a sentire e a pensarla così: a me succede sempre l’identica cosa. Ciò è valido però per un tipo speciale di «traditore» o, visto dall’estremo opposto, di «convertito»: colui cioè che per maturata ma sofferta convinzione, o per viltà, o per interesse, o per un eccesso di sentimentalismo, o per una troppo vigile curiosità intellettuale, o essendo (sul piano etno-linguistico-culturale) perfettamente bilingue, spesso è anche uno che ha due patrie, e magari le ama entrambe e non riesce a distaccarsi del tutto dalla sponda che in qualche modo è stato costretto o indotto ad abbandonare. Colui insomma per il quale il «tradimento» è stato obiettivamente tale, e non ha costituito una metanoia, una conversio; oppure colui il quale ha scelto una parte di se stesso, ma così facendo pensa di averne perduta un’altra, e vorrebbe tanto poter riunire quelle due parti di sé, sanare quell’intima contraddizione, quella continua nostalgia dell’altra sponda, quell’eterno sentirsi «altrove». «J’ai deux amours», come diceva la vecchia canzone francese.
Ma, naturalmente, il vero convertito è altra cosa: è un uomo nuovo, che si è lasciato alle spalle l’uomo vecchio come si getta un abito usurato o un otre ormai inservibile, di quelli che non si userebbero mai per versarvi l’evangelico vino nuovo. Quanto poi il «traditore» sia tale solo formalmente o istituzionalmente, perché in realtà ha avuto in sorte di nascere sulla sponda o sul lato del crinale «sbagliati» rispetto alla sua essenza profonda e alla sua identità, allora il discorso è ancora diverso: in quel caso, il «tradimento» sarà solo la corsa verso la libertà. Che cosa «tradivano» i cittadini tedesco-orientali che si gettavano a corsa pazza verso la sbarra di confine o che scavalcavano il muro che divideva le due Berlino, sfidando i mitra dei Vopos?
Resta comunque vero che, invariabilmente e con le dovute, fortunate o illuminate eccezioni, colui che è un eroe o un convertito per i suoi nuovi fratelli, quelli verso i quali si dirige nella sua corsa verso quelle che gli sembrano la Libertà o la Giustizia o la Patria o la Verità , è invariabilmente un traditore o un rinnegato per quelli la terra o la fazione o la fede dei quali egli abbandona. Salvo che poi, finché i giochi non sono chiari, il rinnegato o il traditore possono essere usati come spie o come doppiogiochisti o anche semplicemente come traduttori e diplomatici magari ufficiosi. Quel che davvero purtroppo decide, sul piano dell’eroismo versus tradimento, del rinnegamento e dell’apostasia versus conversione, è il lato dal quale inclina la bilancia della Storia. Sono i vincitori a decidere chi sia eroe, chi sia traditore. Perché, altrimenti, dovremmo mai – almeno in Italia – chiamare eroi Guglielmo Oberdan e Cesare Battisti? E perché, al contrario, sono stati giudicati traditori un Robert Brasillach e un Ezra Pound, e l’uno è finito fucilato mentre per non macchiarsi del sangue del più grande poeta del Novecento i vincitori del ’45 hanno dovuto farlo passar per pazzo e rinchiuderlo come una belva feroce in una gabbia del Fascist Criminal Camp di Coltano?
La storia d’Italia ha avuto i suoi irredentisti: e gli irredentisti sono sempre dei rinnegati e dei traditori per quella che – premesse alcune condizioni storiche e giuridiche – è formalmente, istituzionalmente la loro patria. Ma se gli irredentisti anteriori al 1918, indipendentemente dall’esito della loro scelta e del loro impegno, hanno ricevuto se non altro postuma gloria, un velo greve, pesante, plumbeo, è calato sugli altri, su quelli che irredentisti sono stati nel periodo compreso tra le due guerre mondiali. In un periodo nel quale la storia scritta dopo il ’45 ha decretato che onorevole fu l’esule e patriota colui che, dopo il giugno ’40, avesse agito o perfino combattuto contro il proprio esercito e il proprio Paese, mentre al contrario assolvibile (ma non del tutto innocente) chi non avesse avuto il coraggio di compiere tale scelta, o chi si fosse rifugiato dietro il «right or wrong, it’s my country»; e degno al contrario d’oblio chi vivendo in un Paese estero, ed essendo italiano, avesse fatto di tutto per ricongiungersi alla madrepatria anche nonostante il fatto ch’essa fosse in balìa di una dittatura. Al limite, l’irredentismo italiano tra le due guerre, che poteva esercitarsi dalla Corsica o da Malta, è stato considerato e – molto poco – studiato solo come uno degli aspetti della propaganda fascista o dei suoi esiti.
In effetti, l’Italia fascista non era soltanto una patria: essa costituiva anche una scelta se non proprio ideologica quanto meno politica. Chi si fosse sentito italiano e attratto dal richiamo dell’Italia, ma al tempo stesso avesse nutrito sentimenti antifascisti o sospetti e riserve nei confronti del fascismo, si sarebbe probabilmente astenuto, almeno tra il ’25 e il ’40 (e con più decisione durante il conflitto) dal compiere scelte suscettibili di riavvicinarlo all’Italia o addirittura di ricondurlo entro i suoi confini. Ciò è vero soprattutto in Corsica: l’isola, nella quale l’italicità è sempre stata presente ma non altrettanto l’italianità, è stata dal Settecento terra di forti e radicati sentimenti indipendentistici e nazionali, non solo in senso antifrancese, ma anche – in modo diverso – antitaliano. I condannati a morte dal Tribunale per la difesa dello Stato di Bastia del 1946 – che erano peraltro quasi tutti nascosti in Italia – erano senza dubbio fascisti o avevano comunque collaborato con le autorità italiane d’occupazione sino a quando le truppe coloniali francesi ripersero di nuovo l’isola. Nel novembre del ’43, ad Algeri, fu fucilato come collaborazionista e traditore il colonnello Petru Simon Cristofini, mentre «traditori» tout court furono giudicati dai tribunali francesi quei còrsi esuli in Italia che stampavano giornali come «Corsica antica e moderna» o «L’Idea còrsa».
Differente, per natura e per qualità, il caso dell’irredentismo maltese, che Stefano Fabei ricostruisce rivisitando la figura di un uomo politico, artista e pensatore come Carmelo Borg Pisani: anche perché Sua maestà britannica non aveva mai assunto, nei confronti della gente di Malta, quell’atteggiamento duramente assimilazionista che aveva caratterizzato la politica francese nei confronti della Corsica almeno dai tempi di quel Napoleone III che era pur figlio e nipote d’illustri còrsi d’origine. Borg Pisani, italiano per famiglia, per tradizioni e per educazione fin dalla scuola elementare – l’«Umberto I» di La Valletta – fu senza dubbio un sostenitore e un cultore dell’italianità dei maltesi (per i quali italicità e, se si vuole, sicilianità sarebbero più problematiche), ma al tempo stesso compartecipò del clima politico dell’Italia fascista, ne condivise le prospettive e se si vuole le illusioni, fu soldato italiano, combattente per quella che egli riteneva la liberazione del suo Paese – nell’evidente prospettiva dell’annessione all’Italia – e martire di quell’idea. Martire nel senso che non poena, sed causa facit martyrem : perché quella fu la ragione per la quale egli immolò la vita, ponendosi sulla scia di quel ch’era stata una certa lettura del Risorgimento, quella indicata dalla prospettiva dello scritto di Francesco Ercole comparso sul numero di aprile (1943) della rivista «Malta».
Su Carmelo Borg Pisani, e su casi analoghi al suo o con esso confrontabili, è caduto un annoso velo. Era del tutto ovvio e naturale che ciò accadesse: la storia ha bisogno del suo tempo per decantarsi: vi sono cose che è opportuno, e magari anche possibile (per questioni di disponibilità delle fonti) visitare storicamente in modo libero e corretto solo dopo che qualche anno o qualche decennio siano trascorsi.
Stefano Fabei ha puntualmente e correttamente restituito la figura di questo artista-soldato alla storia: una storia, è bene aggiungere, forse per qualche verso marginale, ma non «minore». Ogni tempo ha avuto i suoi personaggi discutibili o controversi. Borg Pisani sarebbe stato un buon cittadino italiano, forse magari un po’ meno attratto dal fascismo, se fosse nato sul territorio metropolitano della madrepatria. Nacque in un lembo di terra che per vicende storiche e posizione geografica era dalla fine del Settecento nelle mani di un paese extramediterraneo ma nel Mare Nostrum molto presente e possente. In questi anni stiamo riscoprendo il rapporto di stretta e profonda complementarità tra Europa e Mediterraneo, mentre Malta, ormai indipendente dal suo vecchio imperiale padrone, sta tornando a interrogarsi sulla sua italianità-italicità, non certo pensando a nuove annessioni, ma orientandosi semmai alla condivisione della nuova patria europea. In questo contesto, e con questo spirito, tornare a ripensare la figura di Carmelo Borg Pisani è cosa opportuna. Un grazie a Fabei per averlo fatto con tanta attenzione ai documenti e tanta sensibilità storica.

Franco Cardini

1Dighènis Akrites è il titolo di un poema anonimo scritto in greco intorno all’XI-XII secolo, ricco di riferimenti, divenuti leggendari, agli scontri secolari tra Bisanzio e l’Islam. Protagonista l’eroe omonimo, figlio di un emiro arabo di Siria e di una nobile bizantina, che affronta una serie di difficili prove contro briganti, draghi e belve per salvare la donna amata. Al termine di una vita di lotte egli diventa il simbolo del mondo dei confini.

INDICE

Presentazione di Guido de Marco, Presidente Emerito di Malta

Introduzione di Franco Cardini

Prefazione

Capitolo Primo

Nascere a Malta

Capitolo Secondo

L’arcipelago «Fior del mondo»

Capitolo Terzo

L’amore per l’arte e per l’Italia

Capitolo Quarto

La guerra

Capitolo Quinto

«Liberazione» per i maltesi

Capitolo Sesto

Operazione C3: dai progetti alla rinuncia

Capitolo Settimo

Missione speciale

Capitolo Ottavo

Dal carcere al patibolo

Capitolo Nono

La memoria

Appendice

Bibliografia

Indice dei nomi

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