I GUERRIERI DI DIO


Introduzione

Conoscere Hezbollah, soggetto di primaria importanza sia come protagonista politico e militare della scena libanese e mediorientale sia per la sua particolarità nel panorama dei movimenti islamici e di resistenza, è un compito cui non può sottrarsi chi oggi intenda cercare di comprendere una parte molto significativa, per quanto minoritaria, dell’Islam contemporaneo, quello sciita, e la storia di un Paese, il Libano, piccolo, non monocratico, non petrolifero fino a tempi recenti, diverso dallo stereotipo dello Stato arabo-islamico proprio dell’Occidente.

Il Partito di Dio, o Hezbollah, è stato di volta in volta descritto in vari modi: gruppo fondamentalista, integralista o terroristico, movimento di guerriglia o di resistenza a Israele, longa manus dei regimi siriano e iraniano, rappresentante della comunità sciita all’interno dell’ummah islamica, partito-Stato nello Stato libanese, struttura assistenzialista, ente imprenditore, costruttore di ospedali, di scuole e infrastrutture; tutte definizioni parziali, spesso incapaci di rappresentare in modo compiuto, soprattutto se prese una per volta, la realtà più complessa e articolata di un soggetto politico-militare non molto desideroso, per evidenti ragioni, di farsi conoscere in ogni suo aspetto. In numerosi casi Hezbollah presenta a osservatori e analisti solo ciò che di se stesso, per la propria causa, ritiene utile. Malgrado sia un partito molto connotato dal punto di vista religioso, non c’è nessuna tra le categorie sopra elencate capace di centrarne in pieno la natura e l’essenza.

Nella crescita che ha accompagnato la sua più che trentennale esistenza si rivela la trasformazione del Partito di Dio, movimento islamico-nazionalista per molti aspetti unico. Nato ufficialmente nel 1982, al momento della seconda invasione israeliana, dall’implosione di Amal, partito sciita creato sette anni prima per opera dell’imām Musa al-Sadr, Hezbollah non soltanto è diventato il più importante protagonista della Resistenza nazionale libanese allo Stato ebraico, ma ha dimostrato una notevole capacità di trasformarsi, su sollecitazione di eventi locali e regionali, e di saper adottare nuove strategie e obiettivi, con notevole pragmatismo, restando fedele ai principi sui quali nacque ma contrario al settarismo.

Muhammad Husayn Fadlallah, importante figura dello sciismo e punto di riferimento per molti esponenti del Partito di Dio, riguardo alle divergenze tra sciiti e sunniti, nel 2004 dichiarò che queste erano un ostacolo all’unità islamica e occorreva incontrarsi sulla via del dialogo e della comprensione reciproca sia con i cristiani sia con gli ebrei, sempre che questi non costituissero impedimento alla convivenza o arrecassero danno agli altri, come lo Stato di Israele: «Possiamo vivere da musulmani in pace col resto del mondo. Noi chiamiamo al dialogo con l’aiuto di Dio sul percorso del buon senso e dell’onestà». Due anni dopo il segretario generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, durante il discorso celebrativo della «vittoria divina» su Israele, il 22 settembre 2006 affermò che le armi con cui era stato sconfitto l’invasore sionista non sarebbero state usate contro i connazionali, perché erano le armi non soltanto degli sciiti ma anche dei cristiani, dei sunniti e dei drusi, di tutti i libanesi. Esse costituivano l’arsenale di ogni cittadino desideroso di garantire l’indipendenza, la sovranità e la sicurezza della Nazione, che doveva mantenere la propria unità contro ogni proposta, sostenuta dal sionismo, tesa alla spartizione del Paese, a una sua divisione in senso federalista o alla creazione di cantoni tra loro separati.

La capacità di Hezbollah di integrarsi nel sistema politico e aprirsi alle altre componenti di questo gli hanno permesso di procurare un grande consenso alla guerra di liberazione alla Resistenza. Nella lotta contro Israele e i suoi collaborazionisti libanesi, piuttosto che contro lo Stato del Paese dei cedri, con il quale si è peraltro scontrato in più occasioni, il partito di Nasrallah è riuscito laddove negli stessi decenni altri movimenti islamici hanno fallito e cioè nel consolidare una forte base sociale. Questo anche grazie alla sua tolleranza verso le altre fedi e all’atteggiamento di rispetto verso la libertà d’espressione; in ciò Hezbollah si è rivelato molto diverso da altri partiti e movimenti ispirati anch’essi all’Islam, i quali hanno però mostrato un fanatismo settario che, lungi dal confermare l’attaccamento ai valori religiosi, gli ha alienato non poche simpatie e precluso molte strade, facendo loro perdere la guerra sul campo in vari Paesi arabi.

In principio «movimento», Hezbollah è diventato un partito disposto a competere sul piano elettorale con le altre forze politiche ma, soprattutto, un’organizzazione sociale ramificata in modo capillare, perché cosciente che il potere si conquista in modo graduale; alla clandestinità, più o meno lunga, deve seguire la capacità di aprirsi alla società, per comprenderla e dominarla, altrimenti si corre il rischio di portare avanti un’azione violenta e suicida destinata a rimanere elitaria e quindi destinata all’insuccesso.

Al suo realismo politico il movimento sciita ha saputo accompagnare la capacità di far crescere la propria efficacia militare che gli ha permesso di colpire, come mai successo in precedenza, Israele, acquisendo agli occhi del mondo arabo e musulmano un notevole prestigio e, in certe occasioni, la possibilità di presentarsi come un attendibile interlocutore delle diplomazie europee, russa e cinese. Anche in questo sta la modernità di un soggetto che, pur mantenendo forti legami con i principali alleati regionali, come l’Iran e la Siria – al fianco del cui regime è intervenuto combattendo i terroristi dell’ISIS e le altre forze nemiche del presidente Bashar al-Assad – è stato capace di ritagliarsi un ruolo autonomo in Medio Oriente. D’altra parte vedremo come le origini profonde dello sciismo politico libanese non risalgano all’Iran e all’Iraq, ma all’attività svolta nel corso degli anni Sessanta del secolo scorso dall’āyatollāh Muhammad Baqir al-Sadr, docente nella prestigiosa scuola religiosa di Najaf, e leader carismatico di al-Dawa, il Partito del risveglio islamico creato aderendo al principio del richiamo delle comunità sciite presenti in ogni Paese in vista di una trasformazione rivoluzionaria delle società di cui erano parte. Il pensiero suo, insieme a quello di Musa al-Sadr, ha improntato dal punto di vista ideologico molti attuali dirigenti di Hezbollah. La grande rivolta, culturale e di massa, che ha portato alla nascita della Repubblica islamica in Iran si è verificata tanti anni dopo.

La politicizzazione dello sciismo è stata uno dei fenomeni più rilevanti nella storia del XX secolo, in cui i problemi concernenti la sintesi di religione e Stato, come la rivendicazione della forza di un Islam rinascente, hanno assunto grande rilievo sia tra i gli sciiti sia tra i sunniti. Fino allora il pensiero politico sciita tradizionale si era basato sul concetto che uno Stato fosse legittimo solo in presenza dell’imām, il quale aveva ricevuto dal Profeta in eredità il ruolo di dirigere la comunità; pertanto l’imamato era già previsto dalla religione.

Finché non fosse tornato l’imām nascosto, gli sciiti imamiti-duodecimani dovevano però avere il buon senso di vivere in una situazione di prudente mimetizzazione politica, in attesa di giorni migliori. Per secoli il principio teologico della taqiyya ha giustificato il quietismo politico, sia degli imamiti sia degli ismaeliti. La rivoluzione in Iran, il ritorno in patria di Khomeini e l’instaurazione nel 1979 della Repubblica islamica, con alla base il vicariato del giureconsulto, wilāyat al-faqīh, principio per il quale i giurisperiti possono e devono sostituire nelle funzioni politiche l’imām nascosto, hanno costituito una svolta totale rispetto al pensiero politico sciita classico e, come scrive Massimo Campanini, uno dei più apprezzati orientalisti italiani, «…in contraddizione con le analisi superficiali innanzi tutto dei mass-media ma anche di accademici che si piccano di conoscere l’islam dopo pochi mesi di letture disordinate, il sistema khomeinista appare tutt’altro che “medievale”, ma anzi innovativo nel quadro delle trasformazioni dello Stato moderno».

Per aiutare il lettore a comprendere meglio l’argomento centrale dell’indagine, alla rappresentazione di Hezbollah, della sua struttura e delle sue trasformazioni nel tempo, abbiamo anticipato la descrizione del contesto storico libanese e mediorientale nel quale il Partito di Dio ha operato sia sul piano politico sia su quello militare, e sulle vicende relative a quest’ultimo ambito abbiamo concentrato l’attenzione. Altri punti che abbiamo messo a fuoco sono il tessuto sociopolitico ed economico, la rappresentanza, le alleanze tra i partiti, la forma costituzionale dello Stato. Dopo qualche accenno alla storia millenaria del Paese dei cedri ci siamo soffermati su quella, dalla vigilia della Prima guerra mondiale, del Medio Oriente poiché quest’area con i confini artificiali che conosciamo è il risultato dell’azione manipolatoria europea, soprattutto inglese e francese, allora iniziata e i cui effetti deleteri continuano a manifestarsi spesso in modo drammatico.

Il Libano è una nazione vitale, prolifica, caratterizzata da un grande interesse per l’economia e la finanza; è un Paese esterofilo, ospitale, attento a quanto accade oltre i confini, i cui cittadini più giovani sanno comunicare in una o più lingue europee, hanno un forte desiderio d’emancipazione, di sviluppo e di crescita in ogni campo; ciò è confermato dalla considerevole quantità di quotidiani e di atenei presenti sul territorio in rapporto al numero di abitanti. Le sue potenzialità sono tuttavia limitate da un elevato livello di corruzione e litigiosità dei politici, pronti sempre a cambiare alleanze qualora certe richieste, loro o comunitarie, non siano soddisfatte, dall’incapacità a risolvere con sollecitudine problemi urgenti come quelli relativi alla distribuzione di acqua potabile o alle infrastrutture. Altro problema è costituito dalla privatizzazione di servizi fondamentali fra cui la sanità e l’istruzione superiore.

In questo contesto Hezbollah opera, oltre che sul piano politico e militare, sul fronte della Resistenza, anche sul piano sociale, avvalendosi di strutture assistenziali destinate non soltanto ai membri del partito e delle loro famiglie, o della comunità, bensì a chiunque ne abbia bisogno. Significativo il ruolo giocato nella ricostruzione del Paese con il Jihād al-binā e istituzioni simili.
L’ampia base della militanza sciita, in parte proveniente da una vita povera che a lungo l’ha relegata a una posizione subordinata, oggi desidera il riscatto prima di tutto all’interno del Paese dove spera in un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Quella all’Occidente e in particolare a Israele, che di un certo Occidente è spesso ritenuto l’avamposto nel cuore del mondo arabo-islamico, è vista come lotta contro chi cerca d’impedire questa emancipazione culturale, politica e militare, premessa indispensabile affinché il Libano possa trovarsi non più subordinato, ma in una condizione di parità e reciproco rispetto con gli altri Stati.

Obiettivo di Hezbollah è la costruzione e non la distruzione, lottare perché le condizioni necessarie alla prima, in patria, in Medioriente e anche oltre questo, possano presentarsi, contrastare chi si frappone a questa marcia d’emancipazione degli oppressi, in Libano e oltre i suoi confini. Sacrificio e martirio, ideali irrinunciabili del miliziano sciita, rispettoso della tradizione di Ali e Husayn, non sono una dimostrazione d’amore per la morte ma una dichiarazione di coraggio per la conquista di un mondo più giusto, in modo conforme al volere dell’Onnipotente. Non il desiderio di distruzione, bensì la fiducia anima il popolo di Hezbollah, nato da una scissione da un partito, Amal, il cui nome, non a caso, significa speranza.

Per aiutare il lettore non specialista nella comprensione del testo riteniamo utile dare una sintetica definizione di Islam distinguendo quello sunnita, maggioritario, da quello sciita.
Il termine Islam (Islām) significa «sottomissione» o «abbandono fidente» alla volontà divina e indica la religione fondata dall’«Inviato di Dio», Muhammad, all’inizio del VII secolo d. C. Suoi caratteri essenziali sono il monoteismo assoluto e l’importanza secondaria della teologia (kalām) rispetto alla legge divina (sharī’a). Quest’ultima impegna tutti gli aspetti della vita, anche quelli che al non musulmano possono sembrare «laici»; da ciò deriva la mancanza di una distinzione fra sacro e profano, fra ecclesiastico e politico, non esistendo nell’islam sacerdozio, chiesa e sacramenti. Lo Stato islamico teorico è una teocrazia con a capo il califfo (in arabo khalīfa), termine che significa successore, vicario del profeta Muhammad.

Tre sono le fonti della teologia e della legge; il Corano, manifestazione diretta della volontà rivelatrice e legislatrice di Dio, comunicata a Muhammad, suo messaggero, in un periodo tra il 610 e il 632 d. C.; la Sunna, ovvero l’insieme di detti, silenzi e opere del Profeta, riferiti dai hadīth («tradizioni») tramandati nel tempo e garantiti da una catena (isnād) di testimoni, autenticati dai tradizionisti, ciascuno dei quali ha udito la tradizione dal precedente, fino a giungere a Muhammad; il consenso (igmā‘) dei teologi, o, per la legge, dei giurisperiti, intesi come rappresentanti della comunità islamica.

Oltre a queste tre principali, esiste un’altra fonte, cui le varie scuole attribuiscono un valore diverso: il ragionamento analogico (qiyās) sui dati tradizionali. Le principali credenze sono la fede in un Dio (Allāh) di cui sono sottolineate l’unicità e la trascendenza; nei suoi angeli (malak), nei suoi profeti (nabī) e inviati (rasūl) e nei libri rivelati tramite essi (Torah, Vangelo e Corano); nella risurrezione e nel giudizio finale.

L’adesione alla fede islamica si esprime prima di tutto nell’obbedienza alla legge divina e nell’adempimento dei precetti riguardanti sia gli atti del culto sia le transazioni tra gli uomini (anche ciò che la mentalità moderna considera «profano»), le cui modalità sono fissate nel diritto musulmano (fiqh): si tratta di cinque atti di culto fondamentali, chiamati «pilastri dell’Islam» (arkān al-Islām), che sono: la professione di fede in Allāh (shahāda) e nel suo Inviato (rasūl); la preghiera canonica (salāt) cinque volte al giorno, in condizione di «purità rituale», secondo tempi stabiliti in base al movimento apparente del sole; la tassa-elemosina (zakāt) la cui ragion d’essere è la «purificazione» dei propri beni e il sostentamento di categorie ben definite nonché dello Stato; l’astinenza (sawm) dall’alba al tramonto durante il mese di Ramadān; il pellegrinaggio (hajj) alla «Casa di Dio» a Mecca.

Oltre a queste pratiche va ricordata la ricchezza e l’universalità della spiritualità islamica, espressasi in particolare nella «mistica islamica» o sufismo (tasawwuf), in cui sono documentabili basilari punti di contatto con altre tradizioni religiose occidentali e orientali, alla luce della sostanziale «unità trascendente delle religioni».

L’ortodossia sunnita – che è cosa ben diversa da quel che oggi viene spacciato per «sunnismo» trattandosi in verità di «modernismo» anti-tradizionale – non è mai stata ostile a un misticismo di tipo «personale» e circoscritto nell’intimo del singolo credente, ma si è opposta a quanti incoraggiavano la volgarizzazione delle pratiche mistiche facendone una «più alta via di salvezza» necessaria a tutti e interferendo così con la legge, la quale – beninteso – costituisce la necessaria base per tutti, califfo compreso, tant’è vero che tra i motivi della ribellione all’autorità rientra la palese contravvenzione della sharī’a.

Nonostante l’Islam non incoraggi affatto la separazione completa dal «mondo», dal XII secolo nacquero ordini iniziatici (tarīqa, «via») assimilabili per certi versi alle confraternite cristiane, facenti capo a maestri carismatici dotati di una «connessione» col Profeta (baraka) e praticanti speciali riti e una liturgia particolare basata sul dhikr (menzione litanica del nome essenziale o degli attributi di Dio) finalizzata al costante «ricordo di Dio». Al riguardo del tasawwuf vi è infine da dire che esso, in definitiva, lungi dall’essere un fenomeno «accessorio» o «elitistico» all’interno dell’Islām, rappresenta di quest’ultimo il «cuore», trattandosi di nient’altro che dello sviluppo o dell’approfondimento, con maggior zelo e fervore, della «via» che ciascun musulmano è chiamato a percorrere.
L’Islām ha oggi oltre 1.600.000.000 di fedeli (23 per cento circa della popolazione mondiale) sparsi in tutti i continenti. Gli arabi, la cui terra è stata la culla della religione musulmana, rappresentano più o meno il 20 per cento circa della comunità islamica.

Circa il 90 per cento dei musulmani sono detti sunniti e si riconoscono nella Sunna e nella comunità dei credenti (giamā‘a). Coerentemente all’importanza attribuita al comportamento di Muhammad, sostengono come punto fondamentale che egli sia stato il «sigillo» dei profeti; pertanto il califfo, e ogni altro capo dopo di lui, è un’autorità politica, suprema ma solo esecutiva, il cui compito consiste nel sovrintendere alla retta applicazione della sharī’a.

La principale comunità non sunnita è quella degli sciiti, da Shī‘a, termine che significa «partito»: il partito di Ali, di coloro cioè che, morto il Profeta, basandosi su allusioni da lui fatte in vita, credevano che la successione a capo della comunità teocratica (imām) dovesse spettare ad Ali ibn Abu Talib, suo cugino e genero, affermando l’idea che l’imamato dovesse restare nella famiglia del Profeta non per via elettiva ma tramite esplicita designazione del predecessore.

Per gli sciiti, a differenza dei sunniti per i quali essa risiede nei maestri del tasawwuf (sufismo), la scintilla divina sopravvive, sia pure in misura varia e con diverse manifestazioni, nelle «persone della famiglia», cioè in Ali e negli imām suoi discendenti; questa tendenza ad attribuire un particolare carattere sacro alla persona del Profeta e dei suoi successori giunse a limiti estremi in alcune correnti come quelle degli ismailiti.

Muhammad, secondo gli sciiti, avrebbe nominato Ali suo successore, e dopo di lui, sempre per designazione autorevole, sarebbero seguiti altri undici imām, fino a Muhammad al-Mahdi, «scomparso» nell’878 o 888 d. C. Nell’attesa del suo ritorno, previsto per la fine del mondo, la situazione teologica dello sciismo duodecimano è piuttosto simile a quella del sunnismo, in quanto anche quest’ultimo attende il Mahdi («Il ben guidato»), che secondo complesse narrazioni escatologiche verrà col Cristo (al-Masih) a sconfiggere l’Impostore (Dajjal).
La comunità si regge dal punto di vista teologico e giuridico sull’interpretazione delle note fonti di legge e di dottrina – alle quali gli sciiti aggiungono anche le tradizioni degli imām – con la differenza che per gli sciiti la libera ricerca (igtihād) è tuttora aperta: in teologia essi sono infatti tendenzialmente più «razionalisti» dei sunniti, mentre per quanto riguarda l’esperienza «mistica» (‘irfān) – specialmente da quando in campo sunnita è avvenuta una notevole penetrazione di idee «moderniste» – sono generalmente più accoglienti. Nel campo della legge le differenze sono ancora minori, salvo l’accentuazione del culto alle persone degli imām.

Va distinto, almeno agli inizi, uno sciismo politico, o in prevalenza politico, da uno soprattutto religioso. Il primo nasce dalle lotte per la successione al vertice della «teocrazia democratica» islamica. Come detto, i sostenitori di Ali affermavano che, dopo il Profeta, il più degno di essere guida della comunità fosse proprio il suo parente più vicino e al contempo rappresentante dei devoti credenti degli inizi. A questo primo sciismo, nato con le guerre civili durante il califfato di Othman e di Ali (VII secolo d.C.), si aggiunsero, non per forza con perfetta simmetria fra partito politico e partito religioso, idee connesse con la questione della maggiore o minore sacralità del capo della comunità, alcune risalenti all’epoca stessa di Ali, ma non tutte unite alla sua famiglia.
Distinguere con precisione fra sunnismo e sciismo non è sempre facile: non esiste nell’Islam un’autorità docente in grado di scomunicare ufficialmente questa o quella corrente, anche se di recente ha preso piede, in ambienti deviati, la pratica ideologica del takfīr, che consiste nel decretare lo status di kāfir, «miscredente», al riguardo di musulmani considerati tali da sedicenti «autorità».
Per di più, non basta a definire una corrente come «sciita» la venerazione per Ali; questa, infatti, è comune anche ai sunniti. È casomai caratteristica tipica degli sciiti la maledizione di Abu Bakr, Omar e Othman, i califfi «illegittimi» precedenti Ali; anch’essa però è intesa in modi e gradi diversi secondo le scuole e i periodi. I manuali distinguono lo sciismo in uno «estremo» dal punto di vista religioso, cioè l’ismailismo e le comunità affini; uno «medio» o imamita o duodecimano, e uno sciismo «moderato», quello degli zaiditi. I suddetti aggettivi hanno un valore indicativo e sono da intendersi soprattutto in accezione religiosa; lo ismailismo fu in certi casi politicamente più radicale degli altri.

Sono condivise da tutte le comunità sciite l’idea che i tre primi califfi siano stati degli usurpatori, perché Muhammad aveva designato in modo esplicito Ali a succedergli, e la convinzione che l’imamato possa aversi solo in un discendente del Profeta attraverso sua figlia Fatima e il marito Ali. Anche i califfi omayyadi e abbasidi, di conseguenza, sono ritenuti usurpatori.

Il minore o maggiore estremismo è per lo più misurato, dai trattatisti ed eresiografi, dal grado di devozione o santificazione dell’imām. È comune agli sciiti, in ogni caso, il concetto dell’infallibilità e impeccabilità dell’imām, cui ci si rivolge come guida e interprete autorevole degli scritti sacri. Il califfo dei sunniti, invece, ha potere essenzialmente esecutivo, mentre lo studio della legge e la sua interpretazione sono prerogativa dei giuristi, con i maestri delle «vie mistiche» che – alieni dalla politica in senso stretto – è auspicabile siano ascoltati dai sovrani, di modo che questi ultimi non cadano ostaggio dei «dottori della legge»; da qui una costante sottile competizione, frutto più che altro dell’ignoranza dei secondi, tra «mistici» e «giurisperiti», che il celebre al-Ghazali tentò, con successo, di ricomporre.

Attualmente gli sciiti, di tutte le tendenze, non superano il 10 per cento dei musulmani del mondo, e sono presenti soprattutto in Iran – dove lo sciismo duodecimano (imamita) è religione di Stato – Iraq, Libano, Pakistan e India.

Indice

Introduzione

Capitolo Primo
Il Libano dai fenici agli ottomani

Capitolo Secondo
La Prima guerra mondiale e il nuovo assetto mediorientale

Capitolo Terzo
Il Libano fino agli anni Ottanta

Capitolo Quarto
Dagli Accordi di Ta’if alla liberazione del Libano meridionale

Capitolo Quinto
Dall’assassinio di Rafiq Hariri alla «Guerra dei 33 giorni»

Capitolo Sesto
2009-2014: Hezbollah alla guida del Paese

Capitolo Settimo
L’equilibrio politico-elettorale

Capitolo Ottavo
L’economia libanese

Capitolo Nono
Il Jabal Amel nello sviluppo della Resistenza

Capitolo Decimo
L’imām Musa al-Sadr e l’āyatollāh Muhammad Baqir al-Sadr

Capitolo Undicesimo
Lo shaykh Fadlallah

Capitolo Dodicesimo
Da Amal ad Amal al-islamiyya e al Comitato dei quadri

Capitolo Tredicesimo
Resistenza islamica a Israele e nascita di Hezbollah

Capitolo Quattordicesimo
16 febbraio 1985: Hezbollah ufficializza la sua esistenza

Capitolo Quindicesimo
L’organizzazione interna di Hezbollah

Capitolo Sedicesimo
Weltanschauung del Partito di Dio: jihād difensivo e martirio

Capitolo Diciassettesimo
I segretari generali di Hezbollah

Capitolo Diciottesimo
Il nuovo manifesto di Hezbollah

Capitolo Diciannovesimo
Struttura militare

Capitolo Ventesimo
Le principali organizzazioni sociali e assistenziali

Capitolo Ventunesimo
I media del Partito di Dio

Capitolo Ventiduesimo
Il ruolo di Hezbollah in Siria

Note

Cronologia

Bibliografia

Indice dei nomi

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