PUBBLICAZIONI

Pisani, l’ultimo degli irredentisti («Storia in rete», n. 115 – maggio 2015)

«Malta non è inglese che per usurpazione e io non sono suddito britannico che per effetto di questa usurpazione. La mia vera Patria è l’Italia. È dunque per lei che devo combattere». Maltese di nascita, italiano di cultura, cittadino inglese per forza, Carmelo Borg Pisani, a 25 anni, non aveva dubbi su come schierarsi al momento dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Inviato in missione a Malta e catturato verrà giustiziato dagli inglesi come «traditore» mentre re vittorio Emanuele III gli conferì la Medaglia d’Oro al valor militare. Fu l’unica cosa che l’Italia seppe fare per lui. Da decenni si invoca invano una sua sepoltura ufficiale e i giusti onori che vengono resi ad altri valorosi irredentisti. Ecco la sua tragica storia

Aprile ’45: la pacificazione impossibile… («Storia in rete», Gli Speciali n. 4, Gli ultimi giorni di Mussolini, aprile – giugno 2014)

Aprile ’45: la pacificazione impossibile… eppure qualcuno ci provò. Alla vigilia del crollo si intensificarono i rapporti tra fascisti e antifascisti per arrivare ad un passaggio di poteri che scongiurasse il bagno di sangue da tutti temuto. Ma i fronti contrapposti erano troppo compositi e intrecciati per rendere il progetto  attuabile: Mussolini e l’ala di sinistra del Fascismo guardavano ai socialisti e al Partito d’Azione che però erano troppo legati al Partito Comunista. I fascisti più conservatori invece dialogavano invano con i moderati della Resistenza come democristiani e liberali. Alla fine non se ne fece nulla e Mussolini guardò altrove.

La strana storia della socializzazione («Storia in rete», n. 105-106, luglio – agosto 2014)

Durante la Repubblica Sociale, Mussolini pensò di coronare il progetto – tenuto a bagnomaria durante il Regime – di rivoluzionare il tessuto sociale ed economico italiano attraverso la cogestione delle aziende. Nella RSI la socializzazione avanzò però a fatica, osteggiata da ambienti dello stesso Fascismo, dagli industriali, dai tedeschi, dagli antifascisti. Tuttavia alcuni passi vennero fatti creando precedenti clamorosi – confinati nell’oblio nel dopoguerra – di collaborazione tra fascisti, comunisti e socialisti. Esperienze che le stesse sinistre – ufficialmente ostili alla socializzazione – cercarono di riproporre nel dopoguerra. Ma il vento era ormai cambiato per sempre.

La Legione Tagliamento sul fronte dell’Est («RITTERKREUZ», n. 35, 2014)

Manovra di Petrikovka, presa di Stalino, conquista di Pavlograd e Nikitovka: sono le tappe dell’avanzata compiuta nell’autunno del 1941 dalle Camicie nere della 63ª legione «Tagliamento», le quali, si trovarono a combattere le forze russe al fianco dei reggimenti «Germania» e «Westland» della divisione della Waffen‐SS «Wiking» agli ordini dellʹSS‐Gruppenführer Felix Steiner, ovvero del III° corpo d’armata tedesco. I legionari in camicia nera, comandati dal console Niccolo Nicchiarelli, oltre a essere la «rappresentanza politica» delle forze armate italiane sul fronte russo, pagarono in termini di vite umane un prezzo finora misconosciuto, suscitando l’ammirazione del nemico sovietico e dell’alleato germanico che li definì Panzer Soldaten, «soldati d’acciaio».

L’Islam e la democrazia («Sacro e Profano» n. 4 – 1990)

Uno dei temi più sfruttati durante la Seconda guerra mondiale dalla propaganda alleata nel mondo islamico fu la presunta identità di interessi e sentimenti tra i musulmani e le democrazie. In questo saggio l’autore illustra le polemiche allora sviluppatesi tra quanti sostenevano tale tesi e quanti la rifiutavano affermando che la forma di governo dell’lslam, nella costituzione politica datagli da Maometto, non fosse affatto «democratica» soprattutto se con tale termine ci si riferiva alla democrazia parlamentare di tipo occidentale, definita dal pakistano Abu a ‘la al-Mawdudi «Paradiso degli imbecilli», perché «… nella democrazia il potere appartiene al popolo mentre nell’lslam la sovranità appartiene a Dio di cui il popolo è il Khalifah cioè il “luogotenente”».

Il sostegno dell’Italia alla prima intifâda. I rapporti tra fascismo e nazionalismo palestinese negli anni trenta («Studi Piacentini» n. 35 – 2004)

Un contributo finanziario di 138.000 sterline d’oro, deciso da Mussolini all’indomani della guerra d’Etiopia; un consistente carico di armi e munizioni, destinate al Negus, depositato per quasi due anni a Taranto in attesa di farlo pervenire «senza rischio» ai palestinesi pronti all’intifâda per abbattere il regno di Transgiordania, sconfiggere gli inglesi «protettori» della Palestina, bloccare l’arrivo di ebrei su quel territorio e il progetto sionista in Terra Santa… Un’altra pagina della politica araba del fascismo, ricostruita sulla base di documenti provenienti dagli archivi del ministero degli Affari Esteri e dello Stato Maggiore dell’esercito italiano.

I volontari indiani nell’esercito italiano: il battaglione Azad Hindostan («Studi piacentini» n. 33 – 2003)

Nel 1942, mentre la guerra infuriava su tutti i fronti, i servizi segreti italiani, dietro pressione del ministero degli Affari Esteri, misero a punto un piano per la costruzione di un corpo di intervento antibritannico composto da volontari reclutati tra i prigionieri di guerra indiani. Anche in questo caso, come con gli arabi, gli italiani imitarono i tedeschi, servendosi dell’opera di alcuni patrioti che si battevano per l’indipendenza del loro Paese dalla Gran Bretagna. I risultati tuttavia furono ben diversi da quelli conseguiti dall’alleato, sia per lo scarso zelo combattivo dei reclutati sia per la proverbiale e razionalizzata inefficienza del Regio esercito.

Un ponte verso l’Oriente («Studi piacentini» n. 32 – 2003)

La fine del 1933 si caratterizzò in Italia quale momento di grande importanza nella politica orientale e islamica del fascismo grazie a due eventi di notevole rilievo: la creazione dell’Istituto di Studi per il Medio e l’Estremo Oriente (ISMEO) e la celebrazione del primo convegno studentesco asiatico. In questa sede si ricostruisce la storia di questo e dell’altro congresso che gli studenti asiatici tennero a Roma sotto il patrocinio dei Gruppi Universitari Fascisti alla fine del 1934, nonché delle vicende che videro protagonista la Confederazione degli studenti asiatici in Europa e la loro rivista mensile «Jeune Asie», che ebbe pure la sua edizione in lingua inglese, «Young Asia».

Gli arabi nell’esercito italiano («Studi piacentini» n. 30 – 2001)

Nel maggio del 1942 lo Stato Maggiore dell’esercito italiano e il Servizio Informazioni Militari (SIM), in collaborazione con il ministero degli Affari Esteri, costituirono a Roma un Raggruppamento Centri Militari, con il compito di organizzare tutti quei volontari, per lo più arabi ed ex prigionieri indiani, che avevano optato per essere impiegati contro gli Alleati, in particolare contro gli inglesi e i francesi, per sostenere la causa dell’indipendenza nazionale dei loro Paesi. Grazie ai documenti conservati presso l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore l’autore ricostruisce la storia dei volontari arabi inquadrati nel Centro Militare «A», che avrebbero dovuto costituire l’avanguardia liberatrice nell’avanzata delle forze dell’Asse nel mondo arabo.

Fascismi e decolonizzazione («Studi piacentini» n. 16 – 1994)

In questo saggio, nato dalla rielaborazione di una lezione dell’autore all’interno del seminario per insegnanti «Immagini d’Africa» (il corso d’aggiornamento organizzato dall’Istituto varesino per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea, dal Comune e dal Provveditorato agli studi di Varese nel febbraio-marzo 1994), si ricostruiscono i rapporti che dagli anni Trenta al 1945 s’instaurarono tra l’Italia, la Germania e i movimenti arabo-islamici di liberazione nazionale, asiatici e africani. L’attenzione si concentra sia sul ruolo di Roma, centro del bacino del Mediterraneo, sia su quello di Berlino, dato che dal 1939 al 1945 le politiche italiana e tedesca riguardo soprattutto ai Paesi arabo-mediterranei si condizionarono reciprocamente.

La Missione militare italiana in Germania (1943-1945) («I sentieri della ricerca» n. 23 – 2016)

Dopo il 1945, l’attenzione storiografica, anche da parte dell’Ufficio storico dello Stato maggiore, è stata rivolta soprattutto al Regio esercito e all’appoggio dato da questo agli Alleati, mentre l’istituzione di quello della Repubblica sociale italiana, come l’inquadramento di ufficiali di quest’ultima nell’esercito repubblicano del dopoguerra, hanno costituito un buco nero su cui pochi hanno cercato di far luce. Grazie alla documentazione conservata presso l’Archivio centrale dello Stato, viene qui raccontata una pagina di storia militare, ma con molteplici risvolti politici e sociali tutti ancora da approfondire, delle forze armate della Repubblica di Salò: quella della Missione militare italiana a Berlino.

L’emiro druso Shakīb Arslān: una vita al servizio dell’internazionalismo arabo-islamico («I sentieri della ricerca» n. 23 – 2016)

Nella storia dei rapporti intercorsi tra Europa e Islam quella di Arslān è una figura poco nota, malgrado la sua lunga e intensa attività politico-culturale che contribuì alla formazione di alcuni protagonisti delle lotte di liberazione del mondo arabo-musulmano. Sempre alla ricerca di un dialogo leale tra Oriente e Occidente, l’emiro druso fu per oltre 50 anni un infaticabile e machiavellico interlocutore delle forze politiche europee, di «destra» e di «sinistra», e forse proprio per questa ragione su di lui ha gravato una sorta di ipoteca di carattere ideologico, come su altri protagonisti del cosiddetto Terzo Mondo. Far conoscere le relazioni, spesso lunghe e strette, tra esponenti di quest’ultimo e le potenze uscite sconfitte dalla Seconda guerra mondiale è apparso a molti un’identificazione e un’accusa, più o meno esplicita, di complicità, oppure una contraddizione che, se impossibile negare del tutto, era preferibile occultare o, nel caso peggiore, minimizzare come brevi e dolorose «parentesi storiche», su cui era bene sorvolare. Con questo saggio l’autore contribuisce a far cadere pregiudizi e dogmi politicamente utili ma scorretti dal punto di vista storico.

Fortini, Cianetti e il processo di Verona («I sentieri della ricerca» n. 17 – 2013)

A settanta anni dai fatti Stefano Fabei racconta l’intervento di Arnaldo Fortini, avvocato del Foro di Perugia, in difesa dell’ex ministro delle Corporazioni Tullio Cianetti, imputato al processo di Verona, voluto dal fascismo repubblicano all’inizio del 1944 contro i gerarchi che nella seduta del Gran consiglio del 25 luglio 1943 avevano votato a favore dell’ordine del giorno Grandi, determinando il crollo del regime.

Fortini e Cianetti erano stati amici d’infanzia ad Assisi e fu questo il motivo per cui il primo accettò di difendere il gerarca, il quale riuscì a salvarsi dalla pena capitale anche in virtù del fatto di aver ritrattato il proprio voto con una lettera scritta a Mussolini alcune ore dopo la riunione del Gran consiglio. In Appendice è presentato il “Verbale di interrogatorio rilasciato nella fase istruttoria da Tullio Cianetti”, conservato presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma (Carte del Giudice Istruttore Vincenzo Cersosimo).

Il fascismo in Umbria tra il 1919 e il 1925 («I sentieri della ricerca» n. 16 – 2013)

In questo saggio l’autore – ricostruito il periodo successivo alla Prima guerra mondiale in Umbria, caratterizzato da trasformazioni culturali, economiche e sociali e dalla crescita dell’industria – illustra le origini del fascismo locale che, a causa della difficoltà nel raggruppare un solido nucleo organizzativo, nacque piuttosto tardi e fu sempre caratterizzato dalla presenza di varie anime e contrapposizioni dovute alle diverse provenienze politiche e finalità attribuite al movimento mussoliniano, oltre che a contrasti di natura personale nella dirigenza. Dall’assalto fascista all’amministrazione comunale perugina al patto di pacificazione con i socialisti, è rappresentata la realtà di un fenomeno politico che tra il 1921 e il 1922 fu qui essenzialmente squadristico, e quella di una città, Perugia, che ebbe un’importante funzione nella conquista del potere centrale in quanto fu individuata dal comando della milizia come punto di partenza per la marcia sulla capitale e centro di affluenza delle legioni adriatica, tirrenica e dell’Italia settentrionale, considerando sia l’isolamento della regione, sia la sua vicinanza a Roma. Sono poi illustrate le vicende politiche fino all’instaurazione della dittatura, periodo in cui il fascismo umbro continuò a essere molto diviso al suo interno.

Torino 1943: fotografia di una società a quattro mesi dal crollo del regime («I sentieri della ricerca» n. 15 – 2012)

Viene qui rappresentata – con il supporto di una relazione inviata a metà marzo del 1943 dal console generale Niccolo Nicchiarelli, comandante della milizia fascista della Zona di Torino, a Enzo Galbiati, capo di stato maggiore della MVSN – l’immagine del popolo e della situazione politica del capoluogo piemontese alla vigilia del crollo del fascismo. Ne emerge un quadro sintetico, ma obiettivo ed efficace, della realtà di una grande città industriale colpita pesantemente dai bombardamenti. Sono raccontati la situazione materiale e lo stato d’animo della popolazione, misurando il diverso grado di fedeltà politica al regime in tutte le fasce sociali, dall’alta borghesia al proletariato, dagli intellettuali al clero, dall’aristocrazia agli industriali come la famiglia Agnelli, il cui amministratore delegato era convinto che tra gli interessi della Fiat e quelli del fascismo vi fosse ormai un crescente e irreversibile contrasto. Per questa ragione Vittorio Valletta ritenne opportuno stabilire contatti con gli esponenti dell’opposizione azionista, socialista e forse anche comunista, tanto che qualcuno si chiese poi se il primo ad accendere la miccia degli scioperi nel grande centro industriale non fosse stato proprio lui…

‘Abd el- Krīm e la guerra del Rif (1921-1926). Una pagina eroica nella storia della lotta di liberazione del Marocco («I sentieri della ricerca» n. 12 – 2010)

La storia di una guerra coloniale che tra il 1921 e il 1926 contrappose le tribù berbere del Rif, la catena montagnosa nel nord del Marocco, agli eserciti spagnolo e francese che agivano ufficialmente in virtù degli accordi di protettorato intervenuti col sultano marocchino. Abd el-Krīm al-Khattābī nel 1922 riunì i capi tribali, che organizzarono la resistenza con la creazione della Repubblica confederata delle tribù del Rif. Il capo berbero ancorò la sua rivoluzione a una futura rivoluzione nazionale marocchina che avesse come obiettivo liberare il mondo musulmano dal giogo colonialistico occidentale. La rivolta costrinse gli spagnoli a ritirarsi sulla costa e i francesi a intervenire in favore di questi ultimi per evitare il contagio nel resto del Marocco, allora sotto il loro controllo. Fabei racconta in questo saggio la storia di un sogno destinato alla sconfitta: Abd el-Krīm fu infatti battuto ed esiliato nel 1926 nell’isola di Réunion, da dove sarebbe fuggito venti anni dopo per riparare in Egitto, Paese in cui morì nel 1963. SCARICA LA PUBBLICAZIONE

La marcia del Marocco verso l’indipendenza. Il nazionalismo marocchino dalle origini alla Seconda guerra mondiale («I sentieri della ricerca» n. 7&8 – 2008)

Sono qui ripercorse le tappe fondamentali della lotta di liberazione del popolo marocchino dalle potenze colonialistiche europee. Ricostruita la storia del Paese nordafricano dagli inizi della contesa coloniale al XX secolo, vengono illustrati la politica di pacificazione messa in atto dalla Francia e dalla Spagna e gli interessi della Gran Bretagna e della Germania. In questo contesto è poi inserita la nascita del nazionalismo marocchino che, animato da giovani studenti, si rafforzò grazie ai contatti instaurati con esponenti del panarabismo come Shakīb Arslān e con i più maturi movimenti nazionalisti del Medio Oriente che talvolta funsero da modello nella creazione di vere e proprie strutture politiche come il Comitato d’Azione Marocchina. La parte finale del saggio riguarda l’atteggiamento di attenzione e simpatia con cui anche il movimento di liberazione nazionale marocchino, soprattutto alcune sue componenti, guardò alla lotta intrapresa dalle forze dell’Asse e in particolare della Germania che sviluppò nel Paese un’attività di propaganda che accelerò l’acquisizione della consapevolezza del diritto all’indipendenza.

«Pagine libere»: la voce del sindacalismo rivoluzionario interventista (1914-1915) («I sentieri della ricerca» n. 6 – 2007)

Con la terza serie della rivista diretta da Angelo Oliviero Olivetti, inizia la campagna interventista dei sindacalisti rivoluzionari e anarchici (Michele Bianchi, Filippo Corridoni, Amilcare De Ambris, Attilio Deffenu, Cesare Rossi, Massimo Rocca) riuniti nel Fascio rivoluzionario di azione internaziona­lista, e la chiarificazione ideologica dell’interventismo. Questa è un’opera di riattraversamento critico della tradizione politica e teorica maturata in un ventennio e l’individuazione del nucleo essenziale configurante il sindacalismo rivoluzionario come fenomeno originale, indipendente rispetto alle altre dottrine politiche. Constatata la rottura radicale operata nei confronti della tradizione socialpacifista, sono qui individuati la portata innovativa e gli elementi caratterizzanti che permettono di configurare il sindacalismo rivoluzionario come una delle più significative componenti di quella tendenza «nazional-rivoluzionaria» che, sebbene emarginata dalla successiva affermazione delle «ortodossie» fascista e comunista, può essere riconosciuta come dotata di una sua autonomia e di una sua caratteristica identità. SCARICA LA PUBBLICAZIONE

I volontari cosacchi nell’Esercito italiano («I sentieri della ricerca» n. 3 – 2006)

Durante la Seconda guerra mondiale al fianco del Regio esercito sul fronte russo combatterono alcune centinaia di cosacchi che accettarono di collaborare con gli italiani non per simpatia nei confronti del fascismo o della causa dell’Asse, ma per abbattere il regime di Stalin. Viene qui raccontata la storia di questi combattenti che, inquadrati prima nella «Banda irregolare cosacca» agli ordini del maggiore Ranieri di Campello, costituirono nel luglio del 1942 il «Gruppo Squadroni Cosacchi», dipendente dal comando dell’VIII armata. Nei primi mesi dell’anno successivo, a causa delle ingenti perdite, questi uomini, con i superstiti di formazioni simili, formarono il «Gruppo Cosacchi Savoia»,  affidato alla guida del capitano di cavalleria Giorgio Stavro Santarosa che lo comandò dal marzo all’8 settembre 1943, quando fu sciolto. Queste vicende sono ricostruite sulla base dei documenti e degli appunti conservati presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore.

Tra l’incudine araba e il martello israeliano. La quarantennale lotta di Yâsir ‘Arafât e del movimento di liberazione palestinese («I sentieri della ricerca» n. 2 – 2005)

Leader sanguigno che nella sua esistenza ha alternato sventure e successi, scampando a rivolte intestine, complotti e attentati, il fortunato ‘Arafât ha visto spesso in faccia la morte che, a differenza della malattia, lo ha tuttavia sempre risparmiato: nel settembre nero del 1970 in Giordania, durante l’invasione israeliana del Libano nel 1982, quando nel 1985 il nemico sferrò contro la sua base di Tunisi un raid aereo. Agli occhi del suo popolo che spesso lo ha adorato, anche perché lo ha visto salvarsi dalle situazioni più drammatiche, quando tutti lo dicevano finito, ha avuto un unico sogno: la creazione di uno Stato palestinese. Per questo, come gli aveva raccomandato il Gran Mufti di Gerusalemme, ha rifiutato di integrare se stesso e il suo popolo nel mondo arabo, nonostante la lingua comune e la retorica del panarabismo. La storia di un uomo che ha impersonato la speranza del riscatto, facendo rinascere, pur fra tante sconfitte e umiliazioni, l’orgoglio e l’identità di un popolo. SCARICA LA PUBBLICAZIONE

Marzo 1943, alla vigilia del crollo del regime. («Nuova Storia Contemporanea» n. 3 – 2013)

Quella qui rappresentata, con il supporto di un documento conservato presso l’archivio privato di Niccolo Nicchiarelli – di  cui è imminente l’uscita della biografia (Il generale delle Camicie Nere, Pietro Macchione Editore, Varese) – è l’immagine della popolazione e della realtà politica del capoluogo piemontese alla vigilia del crollo del fascismo. La relazione inviata a metà marzo da Nicchiarelli, allora comandante della milizia di Torino, a Enzo Galbiati, capo di stato maggiore della MVSN, racconta in modo sintetico, ma obiettivo ed efficace, la realtà di una grande città industriale colpita duramente dai bombardamenti, le condizioni materiali e lo stato d’animo del popolo, misurando, per così dire, il diverso grado di fedeltà politica al regime di Mussolini nelle varie fasce sociali.

La guerra dell’Asse e l’indipendenza dell’Egitto (1940-1942) («Nuova Storia Contemporanea» n. 4 – 2009)

Ci fu un momento in cui, durante la Seconda guerra mondiale, gli egiziani ritennero imminente la liberazione dal dominio coloniale britannico del loro Paese, grazie alle vittorie delle armate italo-tedesche in Africa settentrionale. Ricostruite le fasi delle operazioni militari in questo teatro bellico, l’autore racconta l’atmosfera di attesa fiduciosa dominante in Egitto, Paese in cui Italia e Germania avevano sviluppato una significativa attività di propaganda e dove molti militari, nazionalisti e islamisti attendevano le forze dell’Asse premessa per la definitiva cacciata degli inglesi. Nel saggio sono illustrati i piani di Roma per l’organizzazione politico-militare dell’Egitto e quello che sarebbe stato il ruolo di Rommel secondo i vertici tedeschi. Con l’ingresso a Tripoli nel gennaio del 1943 gli inglesi però misero fine al dominio italiano in Libia e al sogno del Duce di entrare trionfalmente in Alessandria d’Egitto, assestando un duro colpo alle speranze degli arabi e vanificando i preparativi in corso al Cairo per accogliere Rommel.

Il collaborazionismo anticomunista nella Dalmazia «italiana» (1941-1943) («Nuova Storia Contemporanea» n. 4 – 2008)

Quando, con l’invasione da parte delle forze dell’Asse, la Jugoslavia cessò di esistere nella primavera del 1941, gli italiani crearono il Governatorato della Dalmazia che dal 18 maggio al 19 agosto 1943 comprese le province di Spalato, Cattaro e Zara. La politica anticroata e il processo di italianizzazione qui imposto da Bastianini non favorirono la collaborazione della popolazione locale con le forze occupanti e spinsero molti nelle file della resistenza di Tito. Non essendo il Regio Esercito preparato a combattere la guerra per bande condotta dai partigiani, gli italiani arruolarono formazioni armate riunite nel «Corpo dei volontari anticomunisti della Dalmazia italiana» che cooperò nella tutela dell’ordine pubblico, soprattutto nei compiti in cui, per conoscenza dell’ambiente e del terreno, meglio si prestavano gli elementi locali. Tra gli altri obiettivi, quello di legare agli occupanti la parte più vitale della popolazione, costituendone una solida piattaforma per l’inquadramento nell’attività politica nazionale della popolazione.

Per Malta e per l’Italia. La guerra degli irredenti maltesi al fianco degli italiani («Nuova Storia Contemporanea» n. 2 – 2006)

Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra e molti maltesi credettero che si stesse per concretizzare il sogno dell’indipendenza dalla Gran Bretagna e della conseguente unione del loro arcipelago a quella che ritenevano, per varie ragioni, la loro patria. Nei mesi successivi, tuttavia, dovettero amaramente constatare come gli italiani, invece di sbarcare sull’isola di cui a livello propagandistico volevano la «redenzione e la restituzione al comune destino», si limitassero a sottoporla a una serie di bombardamenti che, lungi dal piegare la resistenza delle occupanti forze nemiche, fecero venire meno in gran parte della popolazione l’atteggiamento di simpatia con cui aveva guardato a Roma e che tanto preoccupava gli inglesi. Mentre alcuni membri della comunità maltese in Italia, allo scoppio del conflitto, fecero ritorno in patria, altri decisero di rimanere nel nostro Paese e di combattere con gli italiani la lotta contro il comune nemico. Sono qui ricostruite le vicende di questi uomini anche attraverso le esperienze, molto diverse negli esiti, ma altrettanto emblematiche, di due di loro: Camillo Bonanno e Carmelo Borg Pisani.

I cetnici nel conflitto mondiale: collaborazionisti e resistenti («Nuova Storia Contemporanea» n. 5 – 2005)

Durante la Seconda guerra mondiale nel teatro operativo della ex Jugoslavia sulla carta del nazionalismo serbo-ortodosso puntarono, per ragioni diverse e ciascuno con finalità proprie, sia le forze dell’Asse, in particolare gli italiani, sia quelle alleate, americane, inglesi e sovietiche. È qui ricostruita a grandi linee la storia del movimento cetnico, con una particolare attenzione alla sua politica di collaborazione con le forze armate italiane. Tra il 1941 e il 1945 i cetnici furono al contempo un movimento di resistenza e di collaborazione con gli occupanti che si sviluppò in diversi gradi e modi dovuti alla pluralità di situazioni che si manifestarono in Jugoslavia sul piano politico, militare, etnico e religioso. Diretto da ufficiali serbi fedeli alla monarchia e al governo esiliato a Londra, il movimento mirò a creare un’organizzazione il cui obiettivo avrebbe dovuto essere la conquista del potere quando tedeschi e italiani si fossero ritirati.

Il Gran Mufti di Gerusalemme e l’occupazione italiana in Jugoslavia («Nuova Storia Contemporanea» n. 3 – 2005)

Sulla base dei documenti relativi alle trattative condotte, sotto gli auspici del Gran Mufti di Gerusalemme, dall’Ufficio di collegamento del ministero degli Esteri con il Comando Superiore delle Forze Armate «Slovenia-Dalmazia», con il vertice del VI Corpo d’Armata e con l’Ufficio Affari Civili della 2ª Armata, per la liberazione di alcuni musulmani dell’Erzegovina internati dagli italiani in quanto accusati di «attività comunista e partecipazione a banda partigiana», viene qui ricostruita una breve ma significativa pagina di quella guerra che in Jugoslavia, più che altrove, fu non solo lotta contro le forze di occupazione ma anche e soprattutto guerra civile, interetnica e interreligiosa. Prima di ripercorrere le fasi delle suddette trattative l’autore delinea il contesto dell’Islam balcanico, la ricerca da parte degli italiani della collaborazione dei musulmani e il ruolo svolto allora dal Gran Mufti di Gerusalemme che perorò presso i governi dell’Asse la causa dei suoi correligionari dei Balcani.

L’indipendenza dell’Egitto nei piani dell’Asse («Eurasia», n. 2 – 2012)

Per gli egiziani il 1942 fu l’anno delle grandi speranze in quanto l’avanzata italo-tedesca sembrò poter condurre alla liberazione del loro Paese dal controllo britannico. Anche se, al di là delle dichiarazioni propagandistiche sull’Afrika-Korps, il teatro bellico libico-egiziano rimaneva per il Führer e per l’Alto Comando della Wehrmacht una zona operativa di secondaria importanza nella strategia germanica, molte speranze si accesero tra i nazionalisti egiziani esiliati in Europa, mentre i loro connazionali, per volontà degli inglesi, non prendevano parte, se non in misura molto limitata, a quella che era, in teoria, la difesa del proprio territorio nazionale, dall’«aggressione» degli eserciti di Hitler e Mussolini. Parve invece chiaro che, nel momento in cui le forze dell’Asse avessero raggiunto Alessandria, il popolo e le forze armate del più importante Paese arabo sarebbero insorti come gli iracheni l’anno prima. La conquista dell’Egitto avrebbe potuto costituire per l’Italia uno strumento di verifica della propria politica mediorientale e l’occasione per accertare le vere intenzioni della Germania, verso la quale esistevano dei sospetti, aggravati da voci non ufficiali, ma attendibili, provenienti dal ministero degli Esteri di Berlino, secondo cui la Wilhelmstrasse riteneva «teoriche» le posizioni assunte con Roma circa la futura sistemazione del mondo arabo. L’argomento è qui affrontato analizzando un documento dell’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, intitolato «Organizzazione politico-militare dell’Egitto».

Dalle steppe della Russia alla Carnia. L’odissea dei cosacchi di Hitler («Eurasia», n. 4 – 2006)

Tra il 1944 e il 1945 una massiccia occupazione di truppe cosacche e caucasiche investì la Carnia che dal settembre 1943, insieme al resto della provincia di Udine, a quella di Lubiana e alla Venezia Giulia, era parte della zona operativa denominata Adriatisches Küstenland. Inviati a contrastare i partigiani, i cosacchi ricevevano qui, come ricompensa per la fedeltà al Terzo Reich, una terra dove ricompattarsi dopo un’odissea durata tre anni e caratterizzata da peregrinazioni, con famiglie al seguito, attraverso Polonia, Ungheria, Germania e Austria. Con la sconfitta dell’Unione Sovietica avrebbero dovuto tornare nei loro territori, ma la storia si sviluppò in modo diverso e questi uomini, guidati dall’atamano Piotr Krassnoff, furono condannati a una tragica fine. Un importante capitolo della storia locale del Friuli, della politica delle nazionalità della Germania nazista e  del collaborazionismo che tra il 1941 e il 1944 vide, civili a parte, oltre un milione di soldati sovietici passare dalla parte degli invasori.

I volontari indiani nell’esercito italiano («Eurasia», n. 3 – 2006)

Il progetto italiano di reclutare volontari stranieri disposti a combattere al fianco delle forze dell’Asse per la liberazione dei loro Paesi dal dominio coloniale prese corpo nel 1942, con la costituzione del Raggruppamento Centri Militari. Per quanto riguarda gli indiani tale disegno sembrò potersi concretizzare, essendo disponibile un certo numero di prigionieri e grazie ai rapporti allacciati con due esponenti del nazionalismo indiano: il più conosciuto e prestigioso Subhas Chandra Bose, indù, e il meno noto, ma in Italia allora costantemente presente, Mohammed Iqbâl Shedai, musulmano. I due però non riuscirono a superare le divergenze e l’atteggiamento di reciproca diffidenza: Shedai mise in guardia il ministero degli Esteri di Roma circa i pericoli che avrebbe generato un eccessivo appoggio alla politica di Bose, per alcuni aspetti più vicina a Berlino e basata sul predominio della maggioranza induista sui musulmani indiani e quindi non in linea con l’indirizzo «filoislamico» seguito da Mussolini. Tale contrasto contribuì, insieme ad altri fattori, al fallimento del suddetto progetto militare.

Chandra Bose e la lotta per l’indipendenza dell’India («Eurasia», n. 2 – 2006)

In Europa la figura di Subhas Chandra Bose è quasi sconosciuta, talvolta anche a quanti si sono interessati alla storia dell’India, sia perché poco studiata sia perché spesso, anche storici di rilievo l’hanno comodamente classificata ricorrendo all’esotica definizione di «fascista indiano». Bose è stato condannato a una sorta di oblio quando non a quella damnatio memoriae di cui sono state vittime altri leader dei movimenti nazionalisti asiatici, quali il Gran Mufti di Gerusalemme o Rashīd ‘Alī al-Gailanī, colpevoli di aver collaborato con l’Asse. In India, dove pure i suoi nemici lo hanno di volta in volta considerato un dittatore, un fascista o un comunista, Bose gode di una grande popolarità. La sua dottrina del Samyavada prevedeva una sintesi tra comunismo e fascismo, ideale per l’India, che doveva essere capace di trarre profitto da queste due esperienze rivoluzionarie per raggiungere l’indipendenza.

Yâsir ‘Arafât – Abû Ammâr («Eurasia», n. 1 – 2005)

Saggio biografico sul leader palestinese che, diversamente dal Gran Mufti di Gerusalemme, panarabista e panislamista, si è caratterizzato per la mancanza di un’esplicita ideologia, a parte il nazionalismo. Proprio a questo fatto, sostiene Fabei, è forse dovuta la sua longevità politica e il «successo» di cui ha goduto. Generoso e socievole, coraggioso e autoritario, religioso ma disposto ad allearsi anche con il diavolo pur di liberare la Palestina, ‘Arafât è stato un leader pragmatico, dotato di un carisma che gli ha garantito il sostegno del suo popolo, forse anche troppo disposto a perdonargli tutto e sempre. Vengono qui ricostruite, una dopo l’altra, le tappe della vita di un uomo politico e di un combattente la cui esistenza si è identificata, nel bene e nel male, in quella del popolo palestinese.

Lipari, colonia di confino tra il 1929 e il 1930 («Rassegna Siciliana di Storia e Cultura» n. 39-40 – settembre 2014-aprile 2015)

Le vicende accadute a Lipari tra l’ottobre del 1929 e il marzo del 1930, semestre in cui il ruolo di comandante del reparto autonomo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale fu ricoperto dal seniore  Niccolo Nicchiarelli,  uomo destinato a ricoprire un ruolo importante, per quanto non di primo piano, nella storia del fascismo.  La ricostruzione dei fatti qui narrati si basa in gran parte sulla documentazione conservata presso il suo archivio.

 

 

Enciclopedia Treccani, Settore Scuola:

La questione arabo-israeliana

Il terrorismo dopo l’11 settembre 2001